Torquato Tasso - Opera Omnia >>  Rogo amoroso




 

iltasso testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere letterarie in prosa e in versi, operaomnia #


INTERLOCUTORI


Dei maggiori

 
 
 
SATURNO    GIOVE
 
 
 
GIUNONE    CIBELE
 
 
 
CERERE       APOLLO
 
 
 
DIANA    BACCO
 
 
 
MERCURIO    VENERE
 
 
 
ESCULAPIO    NETTUNO
 
 
 
PLUTONE    MARTE
 
 
 
MINERVA    VULCANO

Dei minori

 
 
 
PANE    PALE
 
 
 
ERCOLE    DIOSCURI
 
 
 
AMORE       LE GRAZIE
 
 
 
LE MUSE    LE VIRTÙ
 
 
 
LA FAMA    

Pastori

 
 
 
AMINTA    TIRSI


La rappresentazione si figura in Val di Tevere.


Piangea dolente e sospiroso Aminta
lungo le rive del famoso fiume
che dividendo la città di Marte
già se 'n portò nel suo profondo seno
l' arme e i sepolcri degli antichi Regi,
ma bagna ancor quella marmorea tomba
che l' ossa ascose del Romano Augusto,
meraviglia del mondo, anzi di Roma
ch' i miracoli tutti in sé raccolse
e fe' sparir le meraviglie altrui;
piangea Corinna in lacrimoso canto,
e nel pianto canoro i sette colli
rispondevan Corinna, e 'l tósco fiume
risonava Corinna e i chiari fonti;
Corinna più lontan i verdi boschi,
Corinna mormorar l' ombrose valli,
tal che ninfe e pastori al suon deluse
giocosa no, ma dolorosa imago.
Trasse fra' quali a le soavi note
Tirsi pastor, che sovra il mar Tirreno
nato tra le sirene, in mezzo a' cigni
visse la dove il Mincio al Po discende,
e disse: "Non perturbi il mio venire
le dolcissime tue voci canore".


AMINTA

Se fu mai dolce il nostro canto o 'l suono,
or amaro è via più d' onda marina,
più di fèl, più d' assenzio, e più di tòsco;
non è più dolce no, non è più canto,
ma pianto miserabile e dolente
come morte che 'l fa. Corinna è morta.
Morta è Corinna, ahi lacrimoso fato!
Di queste selve il più bel ramo è svelto,
reciso il più bel fior di questa piaggia,
di questi giorni il più bel raggio è spento.
Pianser le ninfe la tua acerba morte,
testimoni voi sète, abeti e faggi
ch' udiste il pianto e voi fontane e rivi
che più cresceste al lacrimoso umore.
Niuno allor condusse a ber gl' armenti,
non gustò fèra le turbate fonti,
né toccò per dolor l' erba del prato.
Gemeva ancor il tuo morir, Corinna,
l' africano leon, la tigre ircana,
come dicon le selve e i fèri monti.
Corinna dimostrò ne' rozzi boschi
qual fosse gentilezza e cortesia
e 'nsegnò prima a le selvaggie Ninfe
a figurar con l' ago i fiori e l' erba
e i dipinti augelletti e i vaghi cervi
con le ramose corna e i capri e i pardi,
tal che le sue vittorie ella dipinse
e i suoi propri trofei spiegò ne l' oro,
cara a Diana e cara anco a Minerva.
Come ad arbor la vita, a vite l' uva,
tauro a gli armenti e biada a' grassi campi,
così tu fosti a' tuoi, Corinna, onore.
Poscia che t' involò l' acerba morte,
Pale medesma abbandonò piangendo
le sue nude campagne, e seco Apollo;
e ne' solchi in cui già fu sparso il grano
vi signoreggia l' infelice loglio
e la sterile avena o felce appresso
sventurata, che frutto non produce,
e 'n vece pur di violetta molle,
di purpureo narciso o di giacinto,
il cardo sorge e con le spine acute
il
Di verdi fronde voi l' arida terra,
o Pastori, spargete e i chiari fonti
coprite intorno pur con l' ombra fosa,
che l' istessa Corinna il vi comanda.
Fate il sepolcro, e nel sepolcro il carme
aggiongete piangendo a' bianchi marmi:
Giaccio io Corinna qui, da terra al cielo
e da le verdi selve all' auree stelle
nota per fama di beltà pudica.

TIRSI

Di bello armento guardian più bello,
tale è 'l tuo canto a noi, divin poeta,
qual sopra l' erba verde il dolce sonno
a l' uom già stanco, e ne l' estivo ardore
dolce rivo ch' estingua ardente sete;
nè sol con la sampogna il mastro agguagli,
ma con la voce e co' soavi accenti.
Fanciullo aventuroso, or tu sarai
secondo a lui, ma sol d' età secondo;
noi cantaremo i nostri versi a prova
qualunque paia il nostro modo e l' arte
e Corinna alzerem sin alle stelle,
sin alle stelle inalzarem Corinna,
ch' io non fui degno di vederla in terra,
ma spero forse di vederla in Cielo.

AMINTA

Qual fu di questo mai più caro dono?
Ella fu degna del tuo chiaro canto,
e 'l tuo canto lodàr Batto e Menalca.

TIRSI

La candida Corinna il bianco cerchio
e 'l candor non usato in ciel rimira
e vede sotto i pié le vaghe nubi
in mille forme e l' argentata luna
e l' altre stelle e 'l lor viaggio torto,
però del suo piacer s' allegra il bosco
e si riveste omai la verde spoglia,
di Pane albergo e di Pastori e Ninfe,
né lupo insidia a le lanose greggi,
né tendono le reti inganno a' cervi.
Ama Corinna l' ozio, è l' ozio in Cielo,
ma la fatica s' ange in su le porte
del tenebroso Inferno ove dolente
sta fra la schiera d' infiniti mali.
I monti adorni di fiorite chiome
alzano nel piacer le voci al Cielo,
suonan l' inculte rupi i vaghi carmi,
di vaghe rime ancor suonano i boschi.
Diva fu, Diva fu Corinna, o parve;
e s' in terra fu Dea, che fia nel Cielo?
Ecco (s' a te non basta, o Dea, la tomba)
quattr' alziam qui bianchi e politi altari,
duo o Corinna a te, duo a Diana,
e ciascun anno spargeremo intorno
tazze spumanti pur di novo latte;
a te duo vasi di liquor d' oliva
porrò, Corinna, e le più adorne mense
farà Bacco più liete, in ampio vetro
versando il prezioso e nobil vino,
e canteranno a me Lizio ed Egone,
i Satiri saltanti Alfesibeo
imiterà. O Dea, riguarda i giochi,
ch' avrai perpetui questi onori in terra,
e quando renderem solenni voti
a le Ninfe de' fiumi e de le selve
e quando purgheremo i nostri campi.
Mentre il cinghial de' monti i duri gioghi,
mentre il pesce amarà gl' ondosi fiumi,
mentre si pasceran l' api de' fiori
e di rugiada avran celeste cibo
le canore cicale, in terra sempre
più saldo rimarrà ch' in salda pietra
l' onor tuo, la tua laude e 'l chiaro nome.
Come a Cerere, a Bacco, a te votivi
i doni portarà da' verdi campi
il tuo rozzo cultor con larga mano,
e tu condannarai co' voti, o Diva.

AMINTA

Quali a te, quali per sì colti versi
render doni potrò degni del canto?
Perché non tanto il sibilar de l' Austro
né d' onda che si rompa al salso lido
udir mi giova il suono, o quel d' un fiume
precipitante fra sassose valli.
Ma prendi questo vaso in cui soleva
Corinna a mezzo dì spenger la sete,
stanca de le vittorie e de le prede,
ch' ella colmò già d' acque, io poi di pianto
due volte il giorno e spargerollo intorno
al sepolcro ch' alzar dobbiamo a gara,
quando si leva e quando inchina il sole.
Ma se non tanto il pianger mio gradisce
quanto le rime tue, prendi, Pastore,
in sua memoria eterna il caro dono.

TIRSI

Prendi all' incontro tu, cortese Aminta,
questa fistola mia di sette canne,
onde già risonar l' elci e l' arene
che percuote il mar d' Adria e fiede il vento.
Ma qual odo io più che d' umana voce
dolcissimo concento, e quali io veggio
e luci e lampi? O dolce lume, o suono!
Ecco Febo, ecco Amor con mille amori.

AMORE

A voi non si convene,
o dolenti pastori,
alzare il tempio o pur alzar la tomba
di questa che volò quasi colomba
con le sue candid' ali,
e bench' ella non sdegni il dolce suono
de l' umile siringa,
ama più chiara tromba
e più nobili esequie e più gradite,
e d' altro che di bianchi e tersi marmi
ama il sepolcro e i carmi:
opra è sola d' Amore
farle cotanto onore.
Incontro a quel superbo,
che là s' innalza con terribil fronte
in guisa tal ch' agguaglia orrido monte,
l' alzerò di mia mano
d' altra materia pur che di terrena,
sì che l' argento e l' oro
perderà dal lavoro.
Dirà il Franco e l' Ispano
e chiunque passando il mare e l' alpe
giungerà stanco al fine in val di Tebro,
là dove io la celebro:
ecco due gran sepolcri,
ecco due meraviglie
del mondo e di natura,
ma quella, se ben miro,
fecer gl' uomini già, questa li Dei,
che non pur io son Divo,
ma son Divi ed Eroi fra questi colli,
per cui, se dritto estima Amore e Marte,
anzi giudice Alcide e Giove stesso,
men gloriosa è del leon la spoglia
che de l' Orsa famosa il nobil vello,
e men degna del cielo e di sue stelle.
Dunque terrena è quella,
fia questa opra divina,
che 'l Ciel sì alta gloria a lei destina.
Voi fra tanta volando,
o pargoletti miei, spogliate intorno
e monti e prati e valli
di fior purpurei e gialli,
acciò che sparga odori il rogo ardente
di questa mia Fenice,
come fa quel de l' altra in Oriente.
Altri tagli il ginebro,
altri l' arbore incida,
che troncato già mai ramo né foglia
di novo non rinverde e non germoglia;
altri sostegno al rogo
faccia statue spiranti,
e nel cipresso incida
le sue palme e i trofei:
teste di fère e spoglie,
reti, dardi, faretre, archi, quadrella;
né le vittorie solo
avute ne le selve
contra l' erranti belve,
ma quella ond' ella vinse uomini e Dei.
Altri le care membra al nobil rogo
imponga, e le ricopra il puro velo;
altri le faci accenda e 'l foco desti.
Ecco arde il rogo, ecco la fiamma al cielo:
deh cessi il flebil suono,
deh cessino i lamenti,
dian luogo ad alte lodi alti sospiri
e si rasciughi il pianto,
ch' a parlar de la Fama
par che la terra e 'l ciel risuoni in tanto.

FAMA

Dolore annunzio e lutto,
Pastor, Bifolci e Ninfe,
Fauni, Sileni e Pani,
e Satiri e Silvani,
l' annunzio a voi che nell' alpestri cime
abitate de' monti o presso l' onde
de l' arenoso lido,
a voi che 'l mar circonda,
a voi che cinge la palude e 'l fiume,
a voi Dive del mare. A voi del Cielo
Dive e Divi io ragiono,
ma solo annunzio a voi diletto e pace
dell' alma che sen vola a' vostri cori.
Morta è Corinna, anzi tra voi salita,
lasciando il mondo in lacrimoso orrore,
scuro, dolente e fosco.
Qual senza fronde il bosco
e senza fiori il prato
e senza l' acque il fonte
e senza stelle il cielo,
tale è senza i suoi pregi
la terra e, senza il suo lucente raggio,
d' alpestre e di selvaggio,
e d' orrido deserto ha faccia oscura.
Piange il mondo e natura:
qual meraviglia è poi
se piange ancor la Fama
che dovrebbe lodarla,
e per mill' occhi lacrime distilla?
Ma tu non piangi, Amore,
perché speri goderne e goder solo,
non in Pafo od in Gnido,
ma su nel terzo Cielo,
e a me sol qui lasci il nome e 'l grido.
S' io tante lingue avessi e tante penne
quante ella ebbe virtù, quante bellezze,
sarebbe eterno il suono, eterno il volo
onde il suo nome portarei cantando
da l' uno a l' altro polo.
Ma non basta a' suoi merti ogni favella,
però taccio piangendo
quanto leggiadra fosse e quanto accorta,
taccio che nel fiorir de' suoi verd' anni
vinse di senno i saggi,
di fede i più fedeli,
vinse di gravità matura etate,
non pur di leggiadria la più leggiadra.
Solo io dirò ch' a lei cotanto piacque
l' esser casta e pudica
che le spiacque esser bella,
e le spiacque il bel nome
che le acquistò cantando il suo fedele.
Io medesma le spiacqui,
io che tanto la lodo e lodo il vero,
Fama certa e verace,
messaggiera qua giù della sua morte,
anzi de la sua pace
e de la sua virtù, ch' in Ciel consorte
la fa de gl' altri Divi:
ella fra loro avrà perpetua vita,
quant' esser dée gradita.
Voi, voi non sète vivi,
voi ch' alor non moriste
impallidir veggendo il chiaro viso
e morte ricoprir d' eterno gelo
le sue purpuree rose
e d' ombra eterna i duo lucenti lumi,
gloria di questa etate.
O tenebrosi fumi,
qual più lucido raggio
ne scopre in queste selve alto viaggio
senza la bella e graziosa luce
che vi fu scorta e duce?
O dolore, o pietate,
o miseria del mondo,
come passa repente e come fugge
virtù, grazia, bellezza e leggiadria!
Ma già la Fama è stanca,
a cui subbietto avanza e spirto manca;
muta la Fama stessa omai diviene
che fu tanto sonora.
Ma se più non la loda, almen l' adora,
e qui consacra l' ale e qui le trombe,
e ben mille virtù d' un cor pudico
tacita involve in un silenzio amico.

AMINTA

Tace la vaga Fama,
ma viene al suo rimbombo
ogni più scelto Iddio e più sublime,
vengono anco i minori
ad onorar questa notturna pompa
co' suoi doni funebri.

PANE

Questa sì preziosa e bianca lana
che già vestiva il mansueto agnello,
vestita ancor ne' boschi avria Diana;
tu sprezzasti orgogliosa il bianco vello,
né quel di Frisso a' miei amorosi incendi
fatto pietoso avrebbe il cor rubello.
S' ardesti il donatore, il dono accendi,
e rifiutato in vita, in morte il prendi.

ESCULAPIO

Quest' erbe e questi fiori,
ch' hanno virtù di richiamare in vita,
porgo a le fiamme con la man ardita,
ma ella ritornar forse non vole,
io troppo ardisco ed oso,
e non mi rende accorto antica pena.
Or, mentre spazia in luce più serena,
non fulmini sdegnoso
sovra me Giove, come irato suole,
ma fulmine amoroso,
s' io temer debbo sì cocenti ardori,
fulmini dolcemente i nostri cuori.

BACCO

Mentre non arde ancor chiome sì belle
l' odorifera fiamma e non circonda,
io la corono di mia verde fronda,
per coronarla poscia in Ciel di stelle.
Degno è sol de le faci alme e divine
e di celesti raggi il biondo crine,
di cui faran le fiamme empie rapine.
Se questo è d' oro, il fuoco a l' or perdona,
e splenda in Ciel la chioma e la corona.

CERERE

A te le bionde spiche
Cerere accendo, e tanto ora mi doglio,
ch' in me rinovo il mio primo cordoglio.
Esser potei di Proserpina in vece
qui nel sereno giorno,
mentr' ella alberga giù ne l' ombra oscura,
ma cruda morte mi t' invola e fura,
e saria il tuo ritorno
come quel di mia figlia e d' Euridiche.
Ahi Fati, ahi Parche a tant' onor nemiche!

MERCURIO

Messaggier del gran Giove io dono l' ali
al rogo tuo per non volar già mai.
Queste e l' officio tu prender potrai;
mal grado de la morte e de' mortali,
vinci l' Inferno e sue leggi fatali.
Iride ceda, e s' a pietà si move,
sia messaggiera tu del sommo Giove,
prendi la verga, e ne' celesti regni
spirti richiama che di lor sian degni.

DIOSCURI

Noi portiamo al tuo rogo, anima illustre,
queste candide penne,
come il candor ch' a tua beltà convenne,
e se tu brami scintillar fra noi
d' altra fiamma più bella,
e rotar per gl' obliqui alti viaggi,
vieni là su fra' duo cortesi Eroi,
contenta di tua stella;
partiamo il tempo, raddoppiamo i raggi,
noi del tuo lume, e tu del nostro ornata.

ERCOLE

L' abito eletto e i preziosi fregi
prendete, o fiamme, onde me stesso avolsi,
dolci miei scorni, anzi miei dolci pregi.
Se quel che volle Amore, ancor io volsi,
abbial Corinna e voi. De' fatti egregi
colga quel frutto in Ciel, ch' in Ciel io colsi.
Simil è 'l rogo e 'l fine, anzi la meta,
e splenda val di Tebro in guisa d' Èta.

MARTE

L' arme ch' uscir del foco, al foco ancora
render dovrei, e gire inerme e umile,
non potendo costei ritorre a morte,
come ritolse Alcide alma gentile,
Alcide che nel Ciel meco s' onora
nato mortal, ma non di me più forte.
Ma che? Prenda lo specchio e incenda or seco
il dono de la Dea ch' Amor fè cieco.

VENERE

Ed io lassa, dolente e lacrimosa
più che d' Adone estinto,
dono il mio caro cinto,
né mai sarò nel mio dolor vezzosa.
Arda il mio nobil cinto, ardan con lei
le mie lusinghe e i miei susurri insieme,
cose gradite e care,
ardan seco le grazie e i vezzi miei,
e spento il foco che sospira e geme,
sarò fredda in amare,
se non raccende pur face amorosa
del cener suo qualche favilla ascosa.

GRAZIE

Questo, questo fu il pomo
ond' arse Troia al fine,
e cadde sparsa in cenere e ruine.
Arda, s' accese, arda in più giuste faci
per te ch' avesti il vanto
di grazia e d' onestate,
e non sian guerre più, ma sante paci
là su nel regno santo,
fra l' anime beate;
arda e vinca d' odor croco ed amomo.

VIRTÙ

Ciò che figlia del Sol piangendo instilla,
ciò che lacrima mirra e nardo e 'ncenso,
Corinna, or sia di nostra mano accenso
nel rogo che per te splende e sfavilla.
Così resta l' odore, alma tranquilla,
di tua virtute, onde quetasti il senso.
Lo sparga aura di fama e 'ntorno il porte,
perché spiri immortal dopo la morte.

DIANA

Strali, faretra ed arco,
armi, mie lucide armi,
qual duro fato vuol ch' io mi disarmi?
Erri securo ormai per l' alte selve
timido cervo con ramose corna,
vada secura omai la damma al fonte,
corran senza timor l' antiche belve
quando più imbruna il ciel e quand' aggiorna,
ch' io non cingo di reti il bosco e 'l monte,
e non l' attendo al varco;
tu va nel foco o mio gradito incarco.

APOLLO

Sacro a le fiamme la corona anch' io
che mi verdeggia all' onorata fronte,
per dolor fatto tenebroso Dio.
S' altra di raggi e di serena luce
avrà nel cielo onde caddeo Fetonte,
l' avrà su 'l carro, e ne fia scorta e duce.
Gema fra tanto il mio vivace alloro,
e 'n vece di sospiri a mille a mille,
sparga nel foco pur le sue faville,
mentr' io la piango e il mio dolente coro.

MUSE

E noi doniamo al foco anzi la tomba
questo bel plettro eburno e questa lira,
per cui tal fama spira
che porta il nome a guisa di colomba;
e se d' Orfeo la cetra in mezzo a l' Ebro
solo Euridice mormorar s' udiva,
agitandola il fiume e l' onde e i venti,
risoni questa ne la fiamma viva
del cipresso odorato e del ginebro,
e faccia ardendo i suoi dolci lamenti:
suoni Corinna in più dogliosi accenti,
e Corinna risponda il vento e l' aura,
mentre il foco ristaura,
e se lira non basta, arda la tromba.

VULCANO

Che donar posso al fuoco, anzi a me stesso,
perché donando al fuoco altrui non dono,
se non questo monile e questa rete?
Ardete voi, fiamme lucenti, ardete
questa per cui mal vendicato io sono,
benché Venere presi e Marte appresso,
poich' a lei non s' avolse il crine adorno,
arda la sua catena, arda il mio scorno.

MINERVA

Dono io candida tela a questo foco,
anzi ben mille palme a questa fiamma,
e mille gloriosi alti trofei;
che posso più donar se quest' è poco
in cui fulmina Giove e i monti infiamma?
Qui le vittorie son de' nostri Dei,
qui me vittoriosa ancor dipinsi
contra i giganti il dì ch' Aracne i' vinsi.

PLUTONE

Queste più care gemme
e questo lucid' or porto dal seno
del tenebroso mio regno terreno,
perché 'l rogo ne sia lucente e chiaro.
Ecco io le verso e spargo
sovra le fiamme in dolce seno apprese,
ma son sdegnoso e largo
di tutti altri tesori, alma cortese,
se non de le tue spoglie incenerite,
già povero Plutone, or ricco Dite.

NETTUNO

Dal mar questi coralli,
e queste gemme porto ancor da l' onde,
fiammeggin qui con le tue chiome bionde,
ardano i miei tesori,
poi che fiamma crudel, fiamma rapace,
le tue vere bellezze arde e consuma,
o d' immortali onori
anima degna e di celeste pace,
non men di lei ch' uscì di bianca spuma.

GIUNONE

E tu prendi, sublime ed alto rogo,
e voi fiamme funeste,
questo scettro reale, anzi celeste.
Mentre more il suo fral, vive l' eterno:
l' anima che se 'n riede,
e fu de' sensi al mondo alta regina,
se 'l porti omai là giù nel basso Inferno,
ma non là dove siede
ne le tenebre Pluto e Proserpina;
regni in più lieta e più felice sede,
libera e senza giogo,
né turbi il nostro amore e 'l nostro luogo.

GIOVE

Questa tazza di fino e lucid' auro,
onde nettare io bevo a la gran mensa,
fece Vulcan prima ch' in cigno e 'n tauro
io mi volgessi, e 'n pioggia d' or condensa.
Con questa Ebe mi diè dolce restauro
de le fatiche nella sete accensa,
poi l' ebbe Ganimede, or tu l' avrai,
a te, Corinna, tant' onor serbai.

SATURNO

Queste, onde si misura e si distingue
il ratto trapassar d' ore veloci,
dono a le fiamme io vecchio pigro e tardo,
a cui potrebber con sonore voci
di costei ragionar faconde lingue,
che veloce sen gì qual tigre o pardo;
bella cosa mortal passa e non dura,
e 'l pianto a questa fiamma altri misura.

CIBELE

Io de' celesti Dei terrena madre
piango Corinna. Ahi lutto amaro, ahi doglia!
Piango le membra sue care e leggiadre
che pasce il foco quasi arida foglia.
Fuoco crudel, fiamme crudeli ed adre,
ardete insieme quest' orrida spoglia;
così Alcide volò fatto più bello,
mentre arse del leone irsuto vello.

AMORE

E noi versiamo i fiori
da le colme faretre
ne l' alto rogo, e i più soavi odori.
O pargoletti, miei cari seguaci,
faci giungete a faci,
sì che la fiamma illustri
l' oscura notte e giunga in sino al cielo.
Io di farfalla in guisa
n' andrò volando intorno al chiaro foco,
o pur, quasi Fenice,
v' accenderò vermiglie ed auree piume,
e con eterna vita
lieto risorgerò dal vivo lume,
io che d' antica etate e di novella,
vecchio sono e fanciullo,
son tormento e trastullo
di questa etate e quella.

AMINTA

Cade il bianco ligustro e poi risorge,
e di novo germoglia,
e da le spine ancor purpurea rosa
colta rinasce e spiega
l' odorato suo grembo a' dolci raggi.
Spargono i pini e i faggi
le frondi a terra, e di lor verde spoglia
poi rivestono i rami.
Cade e risorge l' amorosa stella.
Tu cadesti, Corinna, ahi duro caso,
per non risorger mai,
né più spero veder tra l' erbe e i fiori
le tue vestigia impresse.
Tu chiudesti, Corinna, i dolci lumi
in sempiterno sonno,
né gl' aprirai di novo in questa luce
per far i miei contenti.
Tu ponesti silenzio a' dolci accenti,
e non sarà ch' io mai
cosa veggia ed ascolti
che mi conforti ad altro chì a trar guai.
Tu moristi, Corinna, io vivo e spiro?
Io vivo e tu sei morta? Ahi morte, ahi vita
egualmente odiosa!
Stelle, stelle crudeli,
perché non mi celate il vostro lume,
poi che 'l suo m' ascondeste?
Perché non volgi o luna adietro il corso?
Perché non copre intorno orrido nembo
il tuo puro sereno?
Perché il ciel non si tigne
tutto di nere macchie e di sanguigne?
Tenebre, e voi che le serene luci
m' ingombrate repente,
coprite il cielo e i suoi spietati lumi,
e minaccino sol baleni e lampi
d' arder il mondo e le celesti spere.
Stiasi dolente, ascoso, il sol ne l' onde,
tema natura di perpetua notte,
tremi la terra, ed Aquilone ed Austro
facciano insieme impetuosa guerra,
crollando i boschi e le robuste piante
svelte a terra spargendo, il mar si gonfi
e con onde spumanti il cielo ingombri,
volgano i fiumi incontro i fonti il corso.
Voi, fère belve, in queste stanche membra
saziate la fame e in questo sangue,
perché io non viva un infelice esempio
di fortuna e d' amore
con perpetuo dolore.

AMORE

Folle, ah folle! Che pensi o che ragioni?
Colei che piangi è viva e su nel Cielo
attende il tuo ritorno.
Ivi spera vederla, io sarò duce
per vie sublimi.

AMINTA

Ahi mentitor fallace,
tue promesse di fè come son vòte!
Quest' è forse la prima onde schernito
e deluso io rimagno?
Lasso, molt' anni m' ingannasti in vita,
e m' aggirasti d' uno in altro errore,
d' un male in altro e d' uno in altro affanno;
pur, mentre visse, m' avolgea contento
ne l' amoroso laberinto errando.
Or che lice sperar dopo la morte,
se con la morte ha fine ogni speranza?

AMORE

Vaneggi per dolore e per disdegno,
e 'l tuo sperar come il vedere è corto.

PANE

Tempra, Aminta, il dolore.
Anch' io Siringa piansi
e risonar de' miei dogliosi accenti
feci sovente Menalo e Liceo.
Pianse Alcide il fanciullo
che gl' involar le Ninfe al chiaro fonte;
Orfeo pianse Euridice,
e pianse Apollo Dafne e Ciparisso;
pianse Giove medesmo
per Calisto e per Io,
ed asciugò dopo il dolore il pianto;
tu ti condanni a sempiterno lutto.

AMINTA

Sia come il danno eterno anco il dolore.

MINERVA

Folle! Troppo vaneggi e poco speri,
né di Tirsi il cantar rammenti o quello
che di Sileno udisti in verde speco.

AMINTA

O Dea, quel dì ch' Amore
mi tolse il cor dal petto
e poi mi disse: non ne far parola,
mi tolse insieme il senno;
qual meraviglia è s' io piango e vaneggio?

APOLLO

Tempra, Aminta, il dolor, ch' in questo monte,
de la cui fama il mondo ancor rimbomba,
e 'n questi verdi boschi e 'n queste valli,
la tua Corinna avrà perpetuo onore.
E tu con lei di gloriosa fama
degno sarai, ché loderansi insieme
la sua vera onestate e la tua fede,
la sua beltate e la tua stirpe antica
che vento di fortuna a pena crolla,
ma non dibarba, Aminta, e non atterra,
sì che non spieghi i gloriosi rami
che ricoprono il Tebro e i sette colli
con l' ombra antica e tutto il bel paese
ove s' ascose già Saturno il veglio.
Non fare, Aminta, a l' alta stirpe oltraggio
col soverchio dolor; l' animo invitto
mostra, come il mostrar gl' antichi Padri
in ogni colpo di fortuna adversa.
Vaticano a tua stirpe e gli altri sette
piegan le chiome e l' Appenin s' inchina,
e via più lunge Pindo, Olimpo, Atlante
sostenitor de le dorate stelle,
e par che dica: più famoso pondo
non sostengo de l' Orse o più lucente,
de l' Orse, altere imprese, insegne eccelse,
vostri eterni trofei ch' in ciel traslati,
quasi presagio fur del vostro merto.
Ma voi potreste alzarle ancor più in alto,
s' altro cielo sovran si volge intorno
che per divina luce a voi s' asconda,
voi, non di Licaon figli o nepoti,
ma di Pane e di Giove invitta prole.
Tempra, Aminta, il dolor, non dico il pianto,
ma se 'l pianto amorzar può duolo ardente,
or teco pianga Roma e i sette Monti.


MUSE

Piangete, amiche Ninfe,
per lei ch' a voi fu duce,
lieta lasciando lacrimosa luce.
Voi piangete, Pastori, e voi, Bifolci,
lei che guidava il coro
ne gl' amorosi balli.
Crescete al pianto acque correnti e dolci,
e voi purpurei e d' oro,
e voi fior bianchi e gialli,
ch' ella il dolor induce,
lieta lasciando lacrimosa luce.
E voi piangete ancora, o verdi boschi,
lei ch' in forma appariva
or di Ninfa or di Dea;
antri piangete, e seggi ombrosi e foschi;
piangi tu, verde riva,
là dove ella sedea,
ed onde al Ciel riduce,
lieta lasciando lacrimosa luce.
Piangete colli e voi superbi monti,
lauri e voi, che di foglie
non priva ardore o gelo,
piangete, e siano il pianto i rivi e i fonti,
le preziose spoglie
de l' alma ch' è nel Cielo,
ed indi a noi traluce,
lieta lasciando lacrimosa luce.
Piangete Orse nel ciel tra fiamme e lampi.
Tu piangi, o bianca luna,
pietosa de' mortali.
Sian rugiadosi i più lucenti campi,
dove giunger Fortuna
non può con gl' empi strali,
mentr' ella il carro adduce,
lieta lasciando lacrimosa luce.
Tu piangi insieme, e sia cristallo il pianto,
o bella e vaga Aurora,
mentre riporti il die,
e perle scota il seno, e perle il manto
che gl' aspri monti indora
da le celesti vie,
là 'v' è chi gode e luce,
lieta lasciando lagrimosa luce.

EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Opere - Torquato Tasso", a cura di B. Maier, Rizzoli, Milano, 1965







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